Luis Sepùlveda: le favole, le lotte e le “tre morti”

«Vola solo chi osa farlo» è una delle frasi più celebri tratte dal racconto Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, scritto dall’autore cileno Luis Sepùlveda.

Conosciuto soprattutto per i suoi libri dedicati ai più piccoli, con questi ultimi Sepùlveda è riuscito a conquistare anche un pubblico adulto. Nei suoi racconti per bambini infatti, tocca temi cari a ogni fascia d’età, con uno stile dolce ed essenziale. Ne sono esempi lampanti Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà oppure Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza. La favola, usando le parole dell’autore stesso «è un genere che mi consente di creare personaggi, soprattutto animali, in grado di trasmettere valori come la giustizia, la fratellanza, la solidarietà».

Ma Sepùlveda ha scritto anche libri destinati unicamente a un pubblico adulto, prendendo spunto dalla propria vita che, dall’inizio alla fine, assume i tratti di un affascinante romanzo.

Luis Sepùlveda è nato nel 1949 a Ovalle, in Cile, ed è cresciuto in un quartiere di Valparaìso. Come lui stesso racconta, da piccolo era particolarmente legato al nonno Gerardo, un anarchico andaluso che si rifugiò in America del Sud per evitare la condanna a morte.

Fin da ragazzo Sepùlveda dimostrò un grande talento letterario, insieme a uno spiccato impegno politico. Dapprima aderì alla Gioventù Comunista cilena in cui militò fino alla sua breve esperienza universitaria presso l’Università Lomonosov di Mosca, dalla quale venne cacciato, probabilmente a causa di alcuni contatti con dei dissidenti dell’Unione Sovietica.

Si trasferì poi in Bolivia dove si unì all’Esercito di Liberazione Nazionale fino al suo ritorno in Cile, quando si iscrisse al Partito Socialista, entrando a far parte della guardia personale del presidente Salvador Allende.

Nel 1973 accadde ciò che lui stesso definì come la sua prima morte: il colpo di Stato militare di Pinochet. Lo scrittore venne arrestato e inizialmente condannato a morte. Venne invece condannato a 28 anni di carcere, dove fu vittima di soprusi e torture.

Un destino simile spettò anche a Carmen Yáñez, sua moglie, che fu portata a Villa Grimaldi, il più tristemente noto centro di detenzione e tortura utilizzato durante la dittatura di Pinochet, destinato ai prigionieri politici.

La propria cattura e quella di Carmen saranno chiamate da Sepùlveda la sua seconda e terza morte.

Lo scrittore venne scarcerato con l’aiuto di Amnesty International, ma una volta libero continuò a esprimere le sue idee politiche tramite le sue produzioni teatrali. Ciò gli costò una seconda condanna, che scontò solo per pochi mesi, grazie ancora una volta all’intervento di Amnesty International.

La liberazione di Sepùlveda fu possibile proprio grazie alla sua scrittura; anni prima erano infatti giunti in Europa dei testi del cileno, pubblicati da uno dei suoi insegnanti del liceo. Quando venne condannato, una ragazza dell’organizzazione riconobbe il suo nome e iniziò una grande mobilitazione che salvò lo scrittore il quale, nel 1977, venne scarcerato ed espulso dal Cile.

Ricevette asilo politico dalla Svezia, ma al primo scalo fuggì, per raggiungere infine l’Ecuador, dove si unì ad una missione dell’UNESCO incentrata sullo studio dell’impatto della civiltà sugli indios Shuar, la quale ispirerà il romanzo Il vecchio che leggeva romanzi d’amore.

Nel ‘78 combatté in Nicaragua con la brigata internazionale Simòn Bolìvar e l’anno seguente, dopo la vittoria, si trasferì in Europa dove lavorò come giornalista e dove si riunì dopo anni alla moglie e ai figli.

Fu proprio in Europa che scoprì l’organizzazione Greenpeace e decise di restare nell’equipaggio di una delle loro navi, attività che portò avanti dal 1982 al 1987.

Da questa esperienza trasse ispirazione per il suo romanzo Il mondo alla fine del mondo, dove il lettore si trova immerso nel mondo delle missioni Greenpeace.

Anche il suo ultimo racconto per bambini Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa è intriso dello spirito ambientalista dello scrittore cileno.

Le ultime produzioni di Sepùlveda oscillano tra i toni fiabeschi dedicati ai bambini e i romanzi dai toni più gravi, tra cui Storie ribelli e La fine della storia. Per questi libri Sepùlveda rivisse gli anni oscuri della sua prigionia e di quella di sua moglie, arrivando anche a rivisitare i luoghi delle torture subite.

Le ultime opere del cileno sono forti testimonianze del suo impegno ambientalista e delle sue idee politiche, evolute negli anni, ma mai in contraddizione.

Sepùlveda verrà descritto da chi lo conosceva meglio come un «riformista radicale coerente», una persona pragmatica e fedele alle sue battaglie tanto da arrivare a confrontarsi con le organizzazioni di cui lui stesso faceva parte.

Anche se non riprese più tali posizioni, non rinnegò mai il suo passato di rivoluzionario e continuò a coltivare le sue idee politiche basate sull’aiuto disinteressato verso il prossimo e i più deboli.

La vita rocambolesca di Luis Sepùlveda è terminata il 16 Aprile 2020, a causa di complicazioni insorte dopo aver contratto il virus Covid-19. Non si esclude che tali conseguenze non siano state amplificate dagli strascichi che le torture subite in Cile hanno lasciato sul corpo dello scrittore.

Ma Sepùlveda aveva già parlato della morte e del suo personale approccio alla fine.

Alla domanda «Hai paura della morte tu che sei morto così tante volte?», lui rispose: «C’ho fatto l’abitudine. E poi la vera saggezza è sapere quando le cose finiscono. Soprattutto uno scrittore deve sapere quando dire basta. Non ripetersi. Perché scrivere deve essere un gesto libero e non una condanna. […]So che un giorno anche per me verrà il momento di dire basta. […]In quel preciso istante Sepúlveda non smetterà di vivere, perché c’è sempre un pezzo di esistenza oltre il racconto, oltre le storie, oltre la letteratura. Sarà come abbandonare qualcosa che mi appartiene. Mi è accaduto con il Cile e l’ho ritrovato, trent’anni dopo. Potrebbe accadere anche con il romanzo, il giorno in cui me ne dovessi allontanare. Tutto finisce, ma niente è davvero definitivo».

Elena Selmani